martedì 30 novembre 2010

“Uomini di Dio”

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Lunedì 13 Dicembre 2010 Teatro Cinema Garden – Rende

Orario Spettacoli: 18,00 – 20,15 – 22,30

Per info e prenotazioni: tel 3486666373

 

LOCANDINA PROIEZIONE FILM copia

Xavier Beauvois firma con "Des hommes et des dieux", stentatamente tradotto in "Uomini di Dio", la sua opera più compiuta e complessa.
Trama: il cineasta analizza le dinamiche comunitarie e i tentennamenti profondamente umani degli otto fratelli trappisti del Monastero dell’Atlante in Algeria. Armoniosamente integrati nella realtà del villaggio di Tibhirine (’giardino’ in arabo), ma minacciati dai terroristi che imperversano nella zona, i monaci continuano la vita di sempre.
Forte del magistero dreyeriano e bressoniano, ma senza scadere nell’imitazione, Beauvois scolpisce una messa in scena severa e sobria (colonna sonora tutta diegetica). Il cuore della storia sta nella scelta presa dai monaci di non abbandonare il monastero, consapevoli del pericolo per la loro vita. Il filo del ragionamento è così lucido da stupire: nessuno sfugge alla verità di se stesso e della storia che lo accompagna. Attimi d’infinito che s’intuiscono dietro il velo dello sguardo. Uno di questi è emblematico. Ne è protagonista l’anziano monaco Amédée che, dopo l’irruzione dei terroristi nel monastero, si prende cura del giovane Christophe massaggiandogli le spalle. La scena è nascosta in una carrellata, ma viene esibita nei movimenti simmetrici di andata e ritorno, sottolineandone il prolungarsi. Un gesto senza alcuna pretesa, se non quella della fedeltà, del restare lì in quel contatto finché l’altro, anche solo con il suo silenzio, lo chiede. Un gesto che dice cura del corpo perché è il corpo a tremare e temere, sono le spalle a reggere il peso di una minaccia incombente e di un destino umanamente folle. Momenti governati dalla fede. Tant’è che proprio in questi momenti di maggior intensità, la fotografia allarga i panorami, li colora, li graffia con la luce e li dilata con la profondità dei piani, concedendo alla narrazione filmica di raccontare ciò che le parole tacciono.
Immagini di libertà, ma di una libertà tutt’altro che eroica. La scena finale del vino bevuto in silenzio raccoglie l’alternarsi dei sentimenti: della determinazione, dello smarrimento e, infine, della ritrovata felicità che guarda in faccia alla morte giunta a bussare alla porta. Si potrebbe dire che neppure i monaci possiedono fino in fondo il senso del loro gesto: sanno perché non se ne sono andati, ma non capiscono perché debbano morire. È lo spazio di libertà, il rischio di una scommessa. Con un pudore e un’onestà intellettuale rari, che spinge il regista a optare per un fuori campo eticamente ed esteticamente necessario nella sequenza finale (non conosciamo con esattezza lo svolgimento dei fatti: la corresponsabilità dell’esercito algerino nel massacro è solo presunta), Beauvois presenta un universo di uomini fragili che hanno pascalianamente ’scommesso’, consapevoli che tale scommessa non colmerà mai del tutto l’umano vuoto, l’assenza, il silenzio. Il tutto suggellato da due momenti di puro cinema che tolgono il fiato: il viaggio in auto del monaco più lacerato (in semi-soggettiva) e la lunga sequenza del prefinale. In questa estrema elegia, disincantata e straziante, accompagnata dal "Lago dei cigni" di Tchaikovski e costituita da primissimi piani quasi pasoliniani, si afferma la verità degli uomini, terribilmente soli di fronte alla morte. Eppure nel silenzio assordante ad essere protagonista è il sussurro dell’estrema promessa di Dio, prima della tempesta. Ma serve l’udito della fede per udirlo.

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