mercoledì 22 settembre 2010

“Eucarestia, Epifania di Comunione” - Lettera Pastorale di S.Ecc. Mons. Salvatore Nunnari

letterapastoraleFratelli e Sorelle in Cristo,
è con pastorale sollecitudine e con intima gioia che vi annuncio la prossima celebrazione del Congresso Eucaristico diocesano. Nell’indirlo ho avuto il conforto dei vari organismi ecclesiali da me consultati e la piena adesione dei Vicari Foranei. Gli uffici di Curia hanno assicurato la loro disponibilità a predisporre, a livello catechistico, liturgico e pastorale, quanto servirà per la migliore conduzione dello stesso. La celebrazione del Congresso s’inserisce nel nostro itinerario pastorale: anno della Parola, della Liturgia, anno Sacerdotale; eccoci ora al cuore della Chiesa: l’Eucaristia, “vertice e culmine” di ogni cammino. Da essa più motivate, le nostre Comunità eucaristiche accoglieranno il mandato del Risorto: Andate, dunque”. Sarà l’anno della Missione. Ed infine l’Anno Mariano suggellerà il programma che ci siamo proposti di attuare per rendere più ricca e incisiva la nostra azione pastorale. La nostra Chiesa non celebrava tale evento dal 1947 quando il mio venerato predecessore Mons. Aniello Calcara aveva voluto che si celebrasse nella nostra Cosenza a livello regionale. Le cronache ci raccontano che fu un tripudio di fede, che, dopo gli eventi bellici, servì per una rinnovata fiducia per la ricostruzione religiosa, morale e materiale del nostro buon popolo. Questo il tema allora prescelto: Eucarestia-ricostruzione. Nell’indire oggi un nuovo Congresso, ripenso alla mia prima lettera pastorale a voi inviata: La comunione sia la nostra consolazione nella quale affermavo che l’Eucaristia è epifania di comunione. Sono trascorsi ormai cinque anni dal giorno che vivo tra voi l’esperienza singolare del mio servizio episcopale, anni vissuti con grande gioia per un dono offerto e ricevuto, per un amore che neppure le ore difficili hanno mai offuscato. Nella recente Visita pastorale ho potuto constatare come questo dono ci ha fatto crescere in umanità e nella fede. Durante il mio peregrinare tra voi mi sono spesso chiesto, con lo stupore del cuore, da dove provenisse tanta ricchezza di fede e di umanità. Illuminante la risposta che ho trovato nelle parole del Servo di Dio Giovanni Paolo II: La Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Essa sperimenta con gioia, in molteplici forme, il continuo avverarsi della promessa: “Ecco io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt. 28,20), ma nell’Eucaristia, per la conversione del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore, essa gioisce di questa presenza con un’intensità unica. (Ecclesia de Eucharistia n.1). Benedetto XVI raccogliendo l’eredità eucaristica del suo venerato predecessore ci sospinge alla contemplazione del mistero, mediante una crescita interiore verso un’esperienza sempre più consapevole e fruttuosa (Bari, 29 maggio 2005). Si tratta, dunque, di un cammino sempre aperto.
Capitolo I - L’Eucaristia, cuore della Chiesa
L’Eucaristia è cuore della Chiesa, da quando Gesù, seduto a mensa con i suoi discepoli, nella cena «prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio Corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. E dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo Calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che è versato per voi”» (Lc 22,19-20). A quella cena si rifà l’esperienza esemplare della prima comunità ricca e inquieta di Corinto (Cfr. I Cor. 11,17-34). La Didachè (9,4) e Giustino (Apol. 67) poi testimoniano il peso e il ruolo dell’Eucaristia già nella vita della Chiesa primitiva. Ammirabili le espressioni di S. Agostino quando dinnanzi ad essa, con cuore stupito e accento lirico, esclama: “O Sacramento di bontà, o segno di unità, o vincolo di carità: chi vuol vivere ha qui dove vivere, ha qui di dove attingere la vita”. (Tract. in Ioan, 26,13). Nei documenti del Concilio Vatica¬no II è raccolta e ripresentata tutta la ricca tradizione del mistero e si afferma che: “La Chiesa continuamente vive e cresce per mez¬zo dell’Eucaristia” (LG.26); “L’Eucaristia da alla Chiesa la sua perfezione” (AG 39); L’Eucaristia introduce ed accende i fedeli nella presente carità di Cristo” (SC 10). Mi piace, inoltre, affermare con S. Tommaso d’Aquino che “Nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa” (Summa Teologica III q. 65 n 3). I Martiri di Abitene l’avevano ben compreso da gridare così la loro fede: “Senza la domenica non possiamo vivere”. Non lo dicono, ma lo vivono anche tanti nostri fratelli e sorelle, soprattutto i semplici che, partecipando alla celebrazione eucaristica, contemplando nell’adorazione il Volto del Signore, vivono nella quotidianità il Mistero celebrato e adorato. Sono loro i silenziosi costruttori delle nostre comunità. Non fanno cronaca, ma scrivono una storia d’amore nelle piaghe nascoste del nostro tempo e della nostra società dispersa. Per questo motivo, è doveroso ricordare, tra questi silenziosi costruttori, quanti nella sofferenza, sostenuti dal Pane vivo ricevuto sul letto del dolore, ci aiutano, loro che sono infermi, a restare saldi nella fede e a camminare nella via del Signore. Una formula teologica, diventata oggi un luogo comune senza essere compreso appieno, afferma che “l’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia”. In che senso l’Eucaristia fa la Chiesa? Mi soffermerei un istante a richiamare con semplicità che cosa l’Eucaristia è: essa celebra, ripropone, rende efficacemente presente il sacrificio della croce a partire dal quale la Chiesa è nata ed esiste. La Chiesa nasce con particolare evidenza dalla Croce e per essa dall’Eucaristia, come una e santa, cioè come mistero di comunione con Dio e tra quanti vengono radunati dall’amore di Cristo: “Congregavit nos in unum Christi amor”; “Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. (Gv 12,32). Voglio ancora qui rilevare che, partendo dal sacrificio della croce, l’Eucaristia è il mistero del Corpo di Cristo, del Corpo donato, consegnato per noi, come del Sangue versato, della vita spesa, sigillo dell’alleanza nuova ed eterna. Corpo di Cristo è forse la maggiore immagine neotestamentaria della Chiesa così come la presenta S. Paolo, il quale ebbe questa rivelazione fin dal primo momento della sua chiamata alla fede e alla missione, allorquando il Signore si presentò a lui come “Gesù che tu perseguiti” (Cfr. LG,7). Nella frazione del pane eucaristico, tutti noi, partecipando realmente al Corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con Lui e spinti all’amore tra noi. « Poiché c’è un solo pane, pur essendo molti, siamo un corpo solo, noi tutti che partecipiamo all’unico pane » (1 Cor. 10,17); «Così noi tutti diventiamo membra di quel Corpo» (1 Cor. 12,27); “membra ciascuno gli uni degli altri” (Rm 12,3). In che senso, si dice ancora che la Chiesa fa l’Eucaristia? Non certo la fa di sua iniziativa o grazie alle proprie forze, ma vuol dire semplicemente che essa la celebra in obbedienza alla Parola del Signore: “Fate questo in memoria di me”. Gesù, chiedendoci ciò non si limita a comandare di ripetere il gesto da lui compiuto nella Cena, ma esige di rinnovare, partendo da esso. il dono quotidiano della vita cominciato sulla Croce. “Fate questo” si riferisce all’offerta della propria vita (corpo e sangue) come frutto che deve maturare in noi grazie alla partecipazione sacramentale all’Eucaristia che è Corpo offerto e Sangue versato. La Chiesa abbraccia sequela e donazione e in ciò l’Eucaristia fa la Chiesa, rendendola capace della carità, che è poi la Sua anima; la Chiesa, inoltre, fa l’Eucaristia non solo celebrandola nel rito, ma compiendo e vi¬vendo questa verità nell’esistenza concreta. Alla luce di queste considerazioni, si comprende sempre meglio come l’Eucaristia sia il dono della Chiesa, l’immenso dono offertole da Gesù. Le nostre Comunità vivono di essa, da essa vengono continuamente generate. Infatti, è proprio intorno alla mensa nel giorno del Signore che esse manifestano l’immagine che più si addice loro. Celebrandola, imploriamo, allora ogni volta, il dono della Comunione che distingue le comunità dei discepoli del Signore da tutte le altre forme di aggregazione.
Capitolo II - L’Eucaristia crea ed educa alla comunione
La comunione che imploriamo è quella trinitaria, la Chiesa è dono della Trinità Santa che comunica nel tempo il mistero del suo amore capace di creare relazioni nuove e di offrire un’immagine della Chiesa nella storia. Come ben si può comprendere la comunione di cui parlo si riferisce ai beni invisibili che scaturiscono dalla vita Trinitaria, essi vengono donati a noi dal Risorto e, attraverso l’azione dello Spirito, raggiungono menti, volontà e cuori per una nuova umanità. E’ urgente, dunque, che i discepoli del Signore si aprano all’accoglienza e le nostre comunità diventino il grembo fecondo visitato dalla potenza di Dio che vuole formare la Sua famiglia, luogo dove ci si educa ad un nuovo modo di stare insieme. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avete amore gli uni per altri” (Gv. 13,34). L’essere cristiano è un essere con: con il Padre, in Cristo, per lo Spirito Santo e con tutti i fratelli (cfr I Gv. 4,11-21). L’essere Chiesa-comunione ci dice l’impegno a stare insieme, pregare insieme, lavorare insieme, camminare insieme (Cfr Ignazio Martire a Policarpo 6,1). Mi domando, conoscendo bene alcune situazioni delle nostre comunità, ci può essere posto nella Chiesa per le fratture, le separazioni, le rivalità e gli individualismi? «Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostra membra?» (Gc 4,1).
La fraternità comporta la sconfitta del nostro orgoglio, il superamento delle discriminazioni sempre facili e aprioristiche, il dialogo come stile di vita, lo sforzo e la fatica di ricercare insieme, senza prepotenze e senza impazienze. Implica ed esige anche la libertà, cioè la possibilità per ogni credente nel cui cuore abita lo Spirito Santo, di rispondere alla propria autentica vocazione, (Cfr Gal 5,1). Molto significativo quanto ha scritto Giovanni Paolo II: “l’Eucaristia crea comunione e educa alla comunione.
San Paolo scriveva ai fedeli di Corinto mostrando quanto le loro divisioni, che si manifestavano nelle assemblee liturgiche, fossero in contrasto con quello che celebravano”. (Ecclesia de Eucharistia, 40).
Capitolo III - Il sacerdote ministro dell’eucaristia e uomo di comunione
In quest’ora non facile per il nostro ministero e la nostra storia è illuminante quanto scriveva S. Giovanni della Croce: “Conosco bene la fonte che zampilla e scorre ...benché sia notte”. Siamo nati con l’Eucaristia e viviamo, come ogni battezzato, della comunione eucaristica con il Signore. Benedetto XVI, richiamandoci a questa realtà, ha affermato che « Non ci si può accostare quotidianamente al Signore, pronunciare le tremende e stupende parole: Questo è il mio Corpo, questo il mio Sangue, non si può prendere tra le mani il Corpo e il Sangue del Signore, senza lasciarsi afferrare da Lui, senza lasciarsi conqui¬stare dal suo fascino, senza permettere che il suo amore infinito ci cambi interiormente». S. Gaudenzio di Brescia afferma che nella SS.ma Eucaristia “è Cristo che immolato ricrea, creduto vivifica, consacrato santifica i consacranti”. (Trat. 2). Come è appropriata ed esigente questa verità! Consacranti, siamo santificati dal consacrato. “Appare così chiaro che il nostro sacerdozio ministeriale comporta un legame profondo con Cristo che ci ha donato l’Eucaristia. Che la celebrazione dell’Eucaristia sia veramente il centro della nostra vita Sacerdotale, allora essa sarà anche il centro della nostra missione ecclesiale”. (Benedetto XVI, Discorso 18.3.09). Fratelli miei, dobbiamo essere sempre più convinti che l’Eucaristia è per noi scuola di vita nella quale il sacrificio di Gesù sulla croce deve insegnarci a fare di noi stessi un totale dono ai fratelli. La nostra esistenza eucaristica che traduce nella vita concreta i messaggi stimolanti e i ricchi doni dell’Eucaristia celebrata, è tale solo se sostenuta da una spiritualità eucaristica. Dall’altare al Tabernacolo per contemplare il mistero celebrato. Scriveva il Card. Martini che «la celebrazione stessa nel ritmo concreto dei riti in cui si articola, descrive una suggestiva strada verso l’adorazione». (Attirerò tutti a me, n. 79). La celebrazione quindi va presentata ed impostata in modo da educare i nostri fedeli e tale da esprimere un collegamento più diretto dei vari momenti della vita con il Sacrificio pasquale ed eucaristico di Cristo. E’ ovvio che quest’esperienza suppone una celebrazione viva, un rito eseguito con dignità, la cui trasparenza divina verso il mistero non sia offuscata da un’esecuzione sciatta e frettolosa. Dobbiamo anche convenire che i momenti celebrativi e contemplativi non esauriscono la spiritualità eucaristica; se è vera spiritualità essa ispira la vita, conforma i giudizi, orienta i comportamenti. Come scrivevo nella mia prima Lettera pastorale: «Il Mistero Eucaristico deve essere ritrovato, adorato e celebrato: nella preghiera, nella rinnovata cura liturgica, nella riscoperta del Giorno del Signore. Ma deve essere ritrovato, adorato e celebrato nel mistero esigente di quella comunione che la lettera apostolica Mane Nobiscum Domine ci ricorda dover essere gerarchica e fraterna». Cari confratelli, voglio ricordare a voi e a me stesso che la nostra prima forma di comunione è quella che viene direttamente dall’Ordine Sacro e crea la comunità del presbiterio. E’ il vincolo dell’Ordine Sacro che, configurandoci indelebilmente a Cristo, capo della sua Chiesa, fa di noi una comunità sacerdotale organicamente strutturata, fraternamente unita, mirabilmente compaginata dall’amore indefettibile del Signore Gesù. So bene che è il Vescovo il centro unitario e il responsabile primo di questa comunione sacerdotale. Ma come posso con le mie deboli forze e con le mie colpevoli deficienze, assicurare da solo l’unità della comunione presbiterale senza la comprensione, l’impegno, la ricerca continua e reciproca di tutti? E’ per questo che chiedo con determinazione una fattiva collaborazione per costruire nella concretezza di ogni giorno la fraternità sacerdotale. Sacerdoti carissimi, se volete realizzare voi stessi, dovete essere uomini di Chiesa e cioè uomini di comunione. Uomo di Chiesa è il prete poiché sa stabilire una vera, profonda, virile e soprannaturale comunione con il Vescovo, con i confratelli al fine di eliminare la reciproca sfiducia che spesso abbiamo gli uni verso gli altri: questo continuo dividerci, questo non sopportare né da una parte né dall’altra il colloquio e il dialogo, questo non accettare il contributo di tutti, ma essere soltanto disposti ad accogliere e far valere il nostro punto di vista. Nelle difficoltà presenti accogliamo la testimonianza che la storia ci consegna di sacerdoti santi e santificatori che hanno illuminato il cammino della nostra Chiesa e delle Chiese di Calabria. Nomi e storie a noi ben noti: dal Santo Gaetano Catanoso; ai Servi di Dio Don Mottola, Don Mauro, Don Greco, Don De Cardona, Don Vitetti a cui vanno accomunati Vescovi dalla vita santa come Mons. Faggiano, Mons. Moietta, Mons. Castrillo e Mons. Ferro. La visita pastorale ha ritemprato il mio spirito per la conoscenza più diretta e personale di tanti di voi, per il vostro impegno pastorale e la passione sacerdotale. Tuttavia, c’è ancora tanta solitudine che incide sulla mancanza di una pastorale d’insieme. E’ segno di speranza però la rivitalizzazione dei vicariati foranei che ho avuto la gioia d’incontrare e di aiutare nella fatica dell’impegno missionario, al fine di superare una pastorale di contenimento per andare verso un modello più aperto e attento al mondo che cambia. Va, perciò, incoraggiata e accompagnata questa ripresa e sollecitata in qualche zona pastorale che ancora fa fatica a ritrovarsi fraternamente. Concludo questo capitolo esortando voi sacerdoti ad essere uomini di comunione con i laici, coloro che dialogano con essi, li ascoltano e li comprendono. Prima che nostri collaboratori sono corresponsabili nella conduzione pastorale della nostra diocesi e delle nostre parrocchie.Dall’insegnamento che viene dal Concilio e in particolar modo dalla Presbyterorum Ordinis siamo invitati a vivere il nostro ministero da fratelli, animatori e guide della comunità. Dalla comunità-Chiesa il nostro servizio di comunione si estenda a tutti gli uomini perché a tutti siamo mandati in una prospettiva universale, per offrire la salvezza operata da Cristo, per la riconciliazione di tutta l’umanità.
Capitolo IV - L’Eucaristia domenicale evento centrale della vita della Chiesa
La celebrazione della domenica è per la Chiesa un segno di fedeltà al Suo Signore. Sempre attraverso i secoli, il popolo cristiano ha circondato di speciale riverenza e ha vissuto in intima profonda letizia questo sacro giorno. La Chiesa infatti l’ha ricevuto, non lo ha creato; esso è per lei un dono; può goderne ma non può né manipolarlo, né cambiarne il ritmo o il senso o la struttura; esso infatti appartiene a Cristo e al suo ministero”. (Nota past. CEI Il Giorno del Signore n. 3). Il dies dominicus è anche il dies ecclesiae, il giorno della Chiesa, il giorno in cui i cristiani si radunano e si riconoscono come ekklesia, individui chiamati dalla dispersione a diventare un corpo solo. Il radunarsi, il convenire è presente fin dall’inizio nella vita dei discepoli del Signore. Su questo tema Enzo Bianchi ci regala una profonda riflessione biblico-patristica: «all’apparire del Cristo Risorto i discepoli sono riuniti insieme (cfr. Le 24,33) e lo stesso avviene alla Pentecoste, (cfr. At. 2,2) i testi lucani di At. 2, 42-47 e 4, 32-35 insistono sulla Koinonia. Nella descrizione della Cena del Signore che si svolge a Corinto (cfr. 1 Cor. 11, 17-34) Paolo parla con insistenza del radunarsi insieme dei cristiani sottolineando l’aspetto comunionale, profondo di questo atto, che è contraddetto da eventuali divisioni e ingiustizie tra i membri della comunità. Il radunarsi dei credenti nel giorno domenicale per l’ascolto della parola di Paolo e per la fractio panis è presente per ben due volte (At. 20, 7-12). La Didachè a questo testo si rifà quando così scrive: “riunendovi nel Giorno del Signore, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati” (XIV, 1) e Giustino in un passo della I Apologia attesta l’usanza per cui nel giorno di domenica “avviene il raduno in uno stesso luogo di tutti quelli che abitano nelle città o nelle campagne, per la Celebrazione eucaristica in comune”. Si coglie chiaramente già nei testi antichi la preoccupazione che nel giorno del Signore la comunità sia radunata e l’esortazione che tutti i cristiani accorrano alla Sinassi. Autorevole e chiaro quanto leggiamo nella Lettera agli Ebrei (10,25): “Non disertate le vostre riunioni come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma spingetevi reciprocamente a frequentarle”. Fa eco l’esortazione di Ignazio nella sua Lettera ai Magnesi: “Accorrete tutti come nell’unico tempio di Dio, intorno all’unico altare” (VII,2). “Quale giustificazione potrà presentare a Dio chi non si reca il giorno di domenica in assemblea ad ascoltare la parola di sal¬vezza e nutrirsi del cibo divino che dura in eterno”? (Costituzioni apostoliche, II 59,3). San Giovanni Crisostomo è più lapidario: “Il pasto eucaristico domenicale è un pasto di comunione fraterna. Astenersi da questo pasto è separarsi dal Signore; il pasto domenicale è quello che noi prendiamo insieme con il Signore e con i nostri fratelli”. Alla luce di questa dottrina biblico-patristica come Pastore e guida di questa chiesa sento la responsabilità di offrire alcune pratiche indicazioni pastorali. Sono a ciò sollecitato dall’esortazione rivolta al vescovo dalle Costituzioni Apostoliche: “Quando insegni ordina e persuadi il popolo ad essere fedele nel radunarsi in assemblee a non mancare mai, a convenire sempre per non restringere la Chiesa e diminuire il Corpo di Cristo sottraendosi all’assemblea” (II 59,13). I Vescovi italiani accogliendo questa raccomandazione della Chiesa antica, nel 1984, così scrivevano nella Nota pastorale già citata: “Non diminuire la Chiesa e non ridurre di un membro il Corpo di Cristo con la propria assenza”. (Didascalia degli Apostoli, 27). E con molta praticità asserivano: “Il gruppo o il movimento, da soli, non sono l’assemblea: essi sono parte dell’assemblea domenicale, così come sono parte della Chiesa. Le messe per i gruppi particolari si celebrino di norma non di domenica, ma per quanto è possibile nei giorni feriali; in ogni caso le celebrazioni degli aderenti ai vari movimenti ecclesiali non siano tali da risultare precluse alla comunità”. Le religiose presenti sul territorio parrocchiale contribuiscono alla piena ricchezza dell’assemblea. La loro presenza alla celebrazione è testimonianza e servizio. L’ho potuto notare con gioia nella mia Visita pastorale. C’è ancora qualche resisten¬za con celebrazioni nelle Cappelle private. Rinnovo qui il divieto già esistente in diocesi per queste celebrazioni. Mi rivolgo con l’autorità che ho in campo liturgico anche ai religiosi: che nel rispetto della loro caratteristica presenza nella Chiesa siano nella comunità cristiana qualificati promotori di spiritualità e di educazione liturgica, evitando iniziative non conformi alla normativa canonica e pastorale, collaborino a edificare l’immagine dell’unità e della comunione della comunità cristiana nei giorni festivi. E’ anche necessario riflettere sulla preoccupazione di pastori che per offrire a tutti l’opportunità di assolvere “il precetto festivo” moltiplicano oltre il giusto il numero delle Messe domenicali. Al di là delle buone intenzioni questa prassi risulta di grave pregiudizio alla cura pastorale: provoca un eccessivo frazionamento della comunità, finisce con l’assorbire quasi tutto il tempo e le energie dei sacerdoti. Com’è doloroso per un Vescovo in Visita pastorale dover constatare che le “più messe” in alcune chiese sottraggono i nostri preti alla cura delle zone meno ricche di clero o lontane dal centro. Messe, lasciatemi passare il termine, “concorrenziali” e comunque in contemporanea. E’ invalso l’abuso di celebrare nel giorno del Signore l’Eucarestia nelle Cappelle cimiteriali. E’ un abuso che ha la mia piena disapprovazione perché non aiuta i fedeli a vivere pienamente lo spirito di famiglia parrocchiale. Per meglio manifestare l’aspetto comunitario della S. Messa domenicale, Pasqua della settimana, è bene evitare d’inserire in essa applicazioni particolari, soprattutto in die septimo, trigesimo - che fra l’altro nel calendario liturgico non esistono più, - o anniversario, mentre resta l’obbligo di applicarla pro populo. Ai Vicari foranei è affidato l’impegno di programmare assieme ai Confratelli parroci e Rettori delle chiese, orari e luoghi della celebrazione domenicale. Assieme a questa programmazione resta loro affidato il compito della formazione di quanti esercitano una funzione particolare durante la celebrazione: animatori dell’assemblea, lettori, organisti, direttore del coro, ministranti, addetti al servizio dell’accoglienza. L’ufficio liturgico diocesano offre la sua competenza per l’organizzazione di questi corsi di formazione. La qualità di ciò che essi fanno concorre grandemente non solo al buon andamento della liturgia, ma anche alla sua validità ed efficacia.Dobbiamo convincerci che è importante che i cristiani possano celebrare nella bellezza.Bellezza del canto e della musica, delle parole e dei gesti, dei luoghi, delle vesti, dell’arredamento e delle decorazioni. Le belle celebrazioni attirano e favoriscono il contatto con il Si-gnore. Quanto chiedevo ai presbiteri lo ripeto ancora: - No a liturgie raffazzonate e mediocri che allontanano i fedeli da Dio e dalla loro comunità -.
Capitolo V - Maria e l’Eucaristia
La Chiesa celebrando l’Eucaristia invoca a più riprese l’intercessione della Madre del Signore. Ad ogni messa Maria offre come membro eminente della Chiesa non solo il suo consenso nell’ora della Croce ma anche i suoi meriti e la presente intercessione materna e gloriosa. (cfr. Marialis Cultus n. 20) L’enciclica Redemptoris Mater del venerabile Giovanni Paolo II afferma che la maternità spirituale di Maria “è particolarmente avvertita e vissuta dal popolo cristiano nel sacro Convito, celebrazione liturgica del mistero della redenzione, nel quale si fa presente Cristo, il suo vero Corpo, nato da Maria Vergine” (n. 44). E così continua: « Ben a ragione la pietà del popolo cristiano ha sempre ravvisato un profondo legame tra la devozione alla Vergine Santa e il culto dell’Eucaristia: è questo un fatto rilevabile nella liturgia sia occidentale che orientale, nella tradizione delle Famiglie religiose, nella spiritualità dei movimenti contemporanei anche giovanili, nella pastorale dei Santuari mariani. Maria guida i fedeli all’Eucarestia » (RM n. 44). Questo ufficio carismatico della Madre non solo non ci allontana da Gesù ma ci guida maternamente alla comunione sacramentale con Lui come offerta di grazia per una vita cristiana di testimonianza armonica e forte. Celebriamo, viviamo l’Eucaristia entrando nel mistero con il Cuore vergine di Maria. Sia Lei, madre del Pilerio, sostegno di una fede semplice e gioiosa della presenza del Suo Figlio in mezzo a noi. A tutti la mia paterna benedizione e il mio abbraccio di pace nel Signore Gesù.

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